Security Contractors e Security Operators.

[Testo integrale dell' intervista rilasciata da Carlo Biffani ad Emma Evangelista di Difesa & Sicurezza]

Cosa significa trasformare il rischio in opportunità?

Fare in modo che il cliente possa agire malgrado il contesto complesso e potenzialmente rischioso senza per questo dover rinunciare alla commessa, ma anzi dotandosi del vantaggio strategico di poter accettare di operare in una situazione nella quale altri competitor, verosimilmente, alla luce dei rischi possibili, faranno un passo indietro.

Scenari, previsioni, azione nel ciclo dell’Intelligence.

Analizzare la situazione è fondamentale ma tutto può essere demandato solo ad esperti informatici? No, nella maniera più assoluta. L’aspetto HUMINT (ovvero di Human Intelligence) vale a dire degli uomini sul terreno che ascoltano, percepiscono, raccolgono informazioni ed umori, si confrontano quotidianamente con le dinamiche locali, leggono i segnali deboli e li analizzano, è irrinunciabile. Noi spieghiamo sempre al cliente che una attività che si basi su risk assessement, training, emanazione di procedure, ben pianificata e realizzata è essenziale, ma che niente potrà sostituire il prezioso lavoro di chi poi accompagnerà lo stesso cliente nel viaggio e nella permanenza nel paese dove si realizzerà il progetto.

Quale è la differenza tra un contractor e un agente di security preparato da voi?

In linea di principio non ci sono differenze sostanziali. La preparazione che si richiede è sempre multidisciplinare. In genere si è portati a pensare che i security contractors siano coloro i quali si occupano unicamente dei servizi di protezione armata nei paesi a medio ed alto rischio mentre gli agenti di security si occupino di pianificazione, valutazione del rischio, assessement, survey, e di tutti gli aspetti più ”intellettuali” del nostro lavoro. In realtà una demarcazione, una netta suddivisione dei ruoli in questo senso, ovvero uno più operativo e l’altro più scientifico, non esiste. Nel nostro lavoro è necessario conoscere una gran quantità di aspetti che vanno appunto da quelli più prettamente tattici, ad altri che sono certamente più, mi si passi il termine, accademici, come la pianificazione di attività in aree non permissive, il diritto internazionale, la cartografia, le comunicazioni, le procedure di evacuazione, la travel security e molte altre ancora.

Cosa significa oggi essere un contractor e quanti sono in Italia i contractor?

In Italia, significa muoversi in un contesto nel quale il Sistema Paese ed il mondo dell’industria non hanno pienamente colto l’importanza del sostegno che le società che promuovono e propongono questo tipo di servizi sono certamente in grado di dare. Il paradosso è proprio quello che le grandi aziende si rivolgono da anni a fornitori, a player internazionali per acquistare servizi che alcune società italiane sarebbero certamente in grado di erogare, ma che purtroppo non riescono più di tanto a promuovere dovendo operare in un contesto di diffidenza e di mancanza di cultura specifica oltre che di vuoto normativo in un settore che invece, a livello mondiale, è in continua crescita. Riguardo alla Sua domanda, non vi è una definizione univoca. Se proprio si volesse provare a ricondurre questa professione in una descrizione sintetica, si potrebbe forse parlare, a mio avviso, di manager del rischio in aree conflittuali. Il numero di operatori che vivono concretamente di questo pane,  ovvero che lavorano in maniera continuativa per le grandi firm del settore in genere correlate al mercato anglosassone è ridotto, e credo si possa parlare concretamente di meno di 100 professionisti.

Abbiamo visto negli ultimi anni scorte armate su navi mercantili e uomini aggregati a brigate estere combattere più o meno a soldo. Quanto è remunerativa questa attività oggi?

A quali normative si fa riferimento in Italia per gli ingaggi? Per quello che riguarda la norma che consente di imbarcare personale armato a bordo di navi battenti bandiera italiana, alla cui nascita e stesura ho modestamente, concretamente collaborato, tale mercato è ormai da almeno un paio di anni in contrazione e le paghe per gli operatori che dipendono, sarà bene ricordarlo, da Istituti di Vigilanza italiani, sono di poco superiori a quelle di una qualsiasi Guardia Particolare Giurata. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda temo di non poterla aiutare perché non ho idea di chi o quanti siano i nostri connazionali che sono partiti per recarsi in zone di guerra e combattere con eserciti locali, cosa per altro vietata dal nostro ordinamento e perseguita, aggiungerei giustamente, dal Codice di Procedura Penale. Per rispondere poi all’ultima parte della sua domanda le ribadisco che, tranne che nel caso marittimo, non esiste alcun tipo di normativa in tal senso, lacuna che mi sono permesso di segnalare negli ultimi venti anni ogni qual volta ne ho avuto occasione, a partire dal Copasir e dalla Commissione Difesa del Senato. L’unica cosa che sarà bene chiarire è che chi come noi fornisce i servizi nell’ambito della gestione del rischio in aree non permissive da più di 20 anni, non commette alcun tipo di reato visto che non opera in contesti di guerra al soldo di eserciti stranieri e che in nessun modo può essere confuso con la figura, vietata e perseguibile, del mercenario. Fintanto che  si combatte, non vi può essere alcuna opportunità di business legata agli interessi di società che si occupano di sostegno umanitario e di ricostruzione, ovvero per quel tipo di aziende che ci chiedono da sempre supporto. Il nostro interesse è che le criticità si riducano e che i conflitti cessino, così da poter accompagnare nel loro percorso le aziende che vogliono fare affari in certe aree del mondo.

Quali sono le tre caratteristiche principali e quai i brevetti da conseguire per fare questo mestiere? Equilibrio psicofisico, preparazione tecnica, capacità di adattamento. Esistono una serie di certificazioni soprattutto legate al mondo industriale inglese ed americano che possono essere di aiuto qualora si voglia tentare la carta della selezione presso società di security di quei paesi ma soprattutto nella attività di selezione si tiene conto di quello che si è fatto in ambito militare e deve trattarsi necessariamente di esperienze di rango per periodi medio lunghi.

Quale è la differenza tra preparare un professionista privato e uno organico alle forze armate o di polizia?

Si tratta di attività completamente diverse e quindi di un tipo di preparazione differente. Ciò non di meno, come spiegavo precedentemente, l’essere stati in servizio nelle FFAA o nelle FFOO consente di partire da una serie di esperienze formative e di impiego, che il più delle volte possono essere di grande aiuto se non addirittura irrinunciabili, nell’approccio all’impiego nel nostro mondo.

Perché le forze armate e di Sicurezza pubbliche si rivolgono ad una agenzia come la sua per perfezionare il percorso di formazione dei propri uomini?

Non abbiamo rapporti ufficiali e diretti con reparti delle FFAA e delle FFOO, pur se personalmente ho quasi quotidianamente occasioni di incontro e di confronto con esponenti di qualsiasi livello e grado provenienti da entrambi gli ambiti. Quelle realtà, come è normale che sia, hanno proprie strutture e percorsi formativi e sono piuttosto impermeabili, come è normale che sia, a “contaminazioni” di qualsiasi genere e tipo. Abbiamo invece il piacere di ospitare frequentemente personale proveniente da entrambe le realtà, nell’ambito dei corsi che svolgiamo in aula e nei quali discutiamo di aspetti che, bontà loro, quegli interlocutori ritengono essere di interesse. Personalmente, nell’ambito delle attività di docenza e da relatore, mi capita spesso di essere invitato a portare un contributo di approccio e di esperienza e credo che nel tempo queste forme di confronto e di scambio di opinioni, possano e debbano crescere.

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